Verso nuove speranze
Quattro giovani immigrati, formati nei centri di formazione professionale di IAL Lombardia, raccontano il loro viaggio
Si riaccende nel nostro Paese il dibattito sull’immigrazione. Qualche giornata di mare calmo e condizioni meteo favorevoli hanno moltiplicato i tentativi di fuga dall’inferno libico di migliaia migranti. A Lampedusa gli sbarchi sono quotidiani e la polemica infiamma la politica.
Sui mass media il racconto degli sbarchi viene spesso sovraccaricato di numeri e percentuali, dichiarazioni e commenti. Raramente, molto raramente qualcuno di prende la briga di ascoltare le storie dei protagonisti di questi viaggi disperati in cerca di futuro.
Ci sono delle eccezioni, come quella del settimanale “La nuova Cronaca di Mantova”. Le notizie delle ultime ore sugli sbarchi a Lampedusa riportano d’attualità un’intera pagina del giornale pubblicata all’inizio di marzo in cui quattro giovani, studenti ed ex studenti di IAL Lombardia, parlano di ciò che hanno vissuto.
Souleymane è originario del Senegal ed è arrivato in Italia quando aveva 17 anni. “Sono partito insieme ad altre 164 persone, su una barca che era lunga poco più di nove metri. Dopo circa due giorni si è creata una falla e siamo finiti in acqua: io sono riuscito ad afferrare un pezzo di legno che mi ha tenuto a galla, ma molti miei amici sono annegati. Ancora oggi mi sento in colpa per non averli potuti salvare”.
Anche Cheikh è originario del Senegal e anche per lui il viaggio in cerca di migliori condizioni di vita è iniziato quando aveva 17 anni. “A Dakar la vita è dura, ci sono molti poveri e molte famiglie non hanno di che mangiare. Ho deciso di cambiare la mia vita, così, insieme ad un amico, sono partito”.
Florjon, 18 anni è arrivato in Italia dall’Albania. “Due anni fa sono partito con mio padre per l’Italia, Paese dove lui lavorava già da diverso tempo. Durante il viaggio, però, abbiamo pesantemente litigato: papà voleva che io iniziassi a lavorare in nero per poter contribuire alla causa familiare, ma io sognavo un’altra vita”.
Ibrahim è partito dalla Costa d’Avorio a 15 anni, “sognando di poter giocare a calcio. In Costa d’Avorio è difficile fare il calciatore perché giocano in tanti e costa molto iscriversi alle squadre che potrebbero offrirti un posto”. Quando il padre è dovuto tornare in Africa, Ibrahim è stato accolto in una comunità: “Non posso dire di non aver assistito a scene di razzismo, ma la maggioranza delle persone è accogliente”.
Volti, vissuti. Non solo numeri
Oggi Florjon e Ibrahim stanno terminando il corso professionale di meccanica di IAL Lombardia; Souleymane e Cheikh lo hanno concluso l’anno scorso, il primo è in cerca di occupazione, il secondo lavora presso un artigiano. “Queste storie certo possono suscitare sentimenti e reazioni contrastanti – conclude l’autore dell’articolo – qualcuno si farà prendere da commozione, qualcuno penserà alle falle dei sistemi di sicurezza che permettono gli sbarchi; qualcuno sarà spinto a saperne di più sulle condizioni di vita in altri Paesi. Quel che è certo è che nessuno potrà rimanere indifferente di fronte a una realtà che è fatta di volti, vissuti e non di soli numeri.
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