Abili al lavoro
In un unico volume la guida alla legge 68/99 e i risultati del progetto D.E.A. Disability Employment And Inclusion
“Abili al lavoro” è il titolo di una guida alla legge per la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. “Dalla norma al senso: un ponte tra le diversità. – si legge nel sottotitolo del lavoro di cui è autore Claudio Messori – Direttive, modifiche e aggiornamenti sul collocamento mirato e sulle modalità di assunzione dei lavoratori appartenenti alle categorie protette: requisiti e procedure”.
La guida – presentata in un recente convegno promosso da IAL Lombardia per documentare lo sviluppo del Progetto D.E.A. Disability Employment And Inclusion, realizzato in collaborazione con la rete territoriale dei servizi di inclusione sociale e finanziato da Fondazione Cariplo – ha riscosso largo interesse tra gli operatori, tanto da essere ristampata – unitamente ai risultati raggiunti attraverso il progetto, con un contributo di Giulia Noris su “Modellizzazione e trasferibilità” – nel volumetto “Progetto D.E.A – Azioni e Guida per l’inserimento lavorativo di persone disabili”.
Il lavoro, per guardare al di là della siepe
Marco Rasconi, il presidente nazionale di UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e coordinatore della Commissione Servizi alla Persona di Fondazione Cariplo, è l’autore della pagina introduttiva al volume che riproduciamo qui di seguito.
Se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, è ancor più vero che un lavoro che include nobilita la comunità tutta.
Perché questo assunto? Perché nella mia esperienza all’interno dei vari ruoli che ho ricoperto è chiaro che il lavoro è lo strumento fondamentale, che permette alla società di crescere nel rispetto del diritto di partecipazione e nel principio di protagonismo della persona del proprio progetto di vita.
La disabilità da sempre ha una connotazione negativa e passiva. Negativa perché dalla diagnosi in poi le persone si sentono dire quello che non possono fare ed è chiaro che, anche nell’atto della entrata nel mondo del lavoro, questo assunto ha la capacità di annientare la partecipazione delle persone.
La passività è la sottolineatura che, anche nel momento in cui si include, la persona è oggetto di qualcosa che accade intorno a lei ma non ha strumenti per condizionarla ed esserne protagonista.
A fronte di questi due punti di partenza è chiaro che l’inclusione lavorativa diventa ostaggio di una cultura del passato: non vengono presi in considerazione né la persona né l’impatto positivo che l’inclusione della diversità ha sul mondo del lavoro e sulla società, lasciando intravedere lo spettro del concetto che la persona con disabilità può lavorare solo per concessione.
Ormai nel 2023 tutto ciò è stato confutato ripetutamente dalle tante esperienze di inserimento lavorativo e dalle tante storie di vita delle persone che, nonostante la disabilità, hanno fatto un percorso importante di emancipazione in cui il lavoro è stato un tassello fondamentale.
Se è vero che prima la speranza di vita non permetteva di avere una visione così ampia e confinava le esperienze (a partire da quelle scolastiche) come semplici attività sociali e niente più, ad oggi i progressi medico-scientifici ci permettono di avere un orizzonte temporale che ci permette di guardare al di là della siepe e di vedere il mondo come lo vorremmo, e non come ci è sempre stato imposto.
Quindi sono tante le storie di persone formate che hanno voglia di impegnarsi nel mondo del lavoro e che, oltre a rivendicare il diritto alla partecipazione del crescere della società sono, consapevoli di avere anche tutti i doveri che ogni cittadino deve pretendere di avere, così come ribadisce l’art. 3 della nostra Costituzione.
Lo stravolgimento del paradigma che ci vede consapevoli e produttivi ha inoltre la capacità di contaminare gli ambienti di lavoro e molti sono gli studi di questa branca dell’economia che sottolineano che la diversità all’interno di un gruppo di lavoro la rende più capace e coesa con risultati più efficienti.
A questo punto resta solo una domanda: come fare in modo che le buone prassi e le esperienze sviluppate in questi anni possano essere messi a disposizione di tutta la comunità, permettendo così di abbattere quel muro che divide il mondo della disabilità da quello del lavoro? Personalmente credo che sia necessario continuare a raccontarci e a raccontare quanto sia semplice e moltiplicativo – in termini positivi – il percorso inclusivo, consapevole che la strada è lunga ma l’energia di ciò che abbiamo raggiunto insieme può essere di stimolo per tutti.
Marco Rasconi